lunedì 6 giugno 2011

Fango e vento di idiozia.

Siamo al mondo per comprenderlo. Siamo qui in questo mondo per goderlo, per respirare e andare avanti, semplicemente siamo qui. Sfortunatamente però le cose non sono proprio cosi semplici. Siamo costretti a girarci intorno e a parlarci addosso. Penso ingenuamente che il mondo poteva essere un posto meraviglioso, ma semplicemente è finito nelle mani sbagliate. Nei testi di matematica alcune volte ci si inbatte nella locuzione “buon senso”. Ad esempio per non appesantire troppo alcuni discorsi, si preferisce lasciare alcuni punti aperti. Unico piccolo avvertimento per il lettore è quello di usare il cosidetto “buon senso”. Nel mondo “reale” le cose non funzionano cosi. Il nostro mondo è vincolato e inchiodato dalla legge del profitto, dal mostrarsi, dal prostutuirsi, e il buon senso è proprio l'ultima cosa che viene usata. Allora ti trovi a leggere spesso notizie la cui non confutazione è contro ogni logica che fa un uomo un uomo. Ma spessissimo quelle notizie, quella tradizione, quel modo di vivere, restano li, e non si può toccarli, non si può nemmeno avanzare il beneficio del dubbio. Non tutti si sentono sicuri di crederci, tutti pregano sperando che una statuetta li ascolti e redima i peccati, allontani il male, illumini il celo. In Italia, dove vivo, negli ultimi anni si è assistito ad un fenomeno apparantemente nuovo (per i molti, per i distratti), ma in realtà vecchio come è vecchio questo stanco mondo. Il fenomeno a cui mi riferisco è quello che molti intellettuali nostrani chiamano Fango. Si, sembra che se cerchi un modo di vivere che non sia quello proposto dalla tv, dalla massa, allora non sei autentico, ma lo fai solo per guadagnare tanti soldi e vivere esattamente come chi magari critichi e disprezzi. E allora eccoli li, un esercito di male lingue pronte a sommergerti di fango. Io penso (forse a volte solo spero) che non siamo tutti uguali, c'è chi si ricorda di quel buon senso da cui ogni giorno ci allontaniamo sempre più. C'è chi semplicemente non è cosi interessato a mostrarsi e ad avere, a riempirsi, ma piuttosto cerca di far valere i suoi sentimenti. A volte i pensieri hanno urgenza di venir fuori, e questi sentimenti, questo trambusto interiore può a volte diventare quadro, canzone, romanzo, amore. Amore reale però e non istituzione di facciata e puttanelle nel buio. E allora eccoli li, a parlare, vanno in tv con abitini alla moda per difendere i lori padroni, per difendere l'immoralità, il non buon senso, servi, schiavi che credono di essere liberi. Del resto questo fenomeno è antico. Bob Dylan nel 1975 incideva Idiot Wind, la canzone del vento idiota, del fango che ti tirano addosso appena fai qualcosa di buono. Appena sei tu ad avere credito. Sei tu e non loro. E questo non va bene . La Idiot Wind inzia con due semplici strofe:

Qualcuno ce l'ha con me, si inventano storie sui giornali.
Chiunque sia vorrei che la piantassero ma quando lo faranno posso solo indovinarlo.


Un inizio che potrebbe già bastare. Il tema è ben definito e chi canta sa di non poter controllare la cosa. Ma poter solo sperare, sperare magari invano che la smettano. E poi continua:

La gente mi vede a tutte le ore e proprio non riescono a ricordare come comportarsi.
Le loro menti sono piene di grandi idee, immagini e fatti distorti.


Qui come ad evidenziare la mancanza di buon senso generale, il credere alla assurdità che magari un giornalista di provincia scrive per accaparrarsi un contratto. Le immancabili storie di droga. Come a dire, bé è bravo questo Dylan, chissà che si prende. Sarà strafatto. Magari è fatto o magari no. E poi, non tutti i drogati/alcolizzati di questo mondo scrivono e cantano grandi canzone no? Quindi dov'è il punto Mr Jones? Dov'è il punto uomo comune. Cos'è invidia? perché piuttosto non ascoltare e lasciarsi per una volta guidare da chi mostra di saperne più di noi? Da chi mostra di saper cantare meglio di noi? Ma come ogni cosa è più facile lasciar perdere no? E' più facile bollare la diversità e non curarsene continuando a seguire quelle stupide partite in tv.
Nel ritornello Dylan poi sembra proprio inkazzato contro chi parla, chi parla giusto per muovere l'aria, come si dice dalle mie parti.


Vento idiota che soffia ogni volta che muovi i denti
sei un'idiota babe
E' un miracolo che tu sappia ancora come respirare.


La canzone continua poi come un miracolo, con strofe e strofe di poetica invettiva. Il ritornello conclusivo mostra però tutta la fragilità dell'artista, dell'uomo che si pone al mondo come suddito e non come dominatore.


Vento idiota che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti
che soffia tra le lettere che abbiamo scritto
Vento idiota che soffia tra la polvere sui nostri scaffali
Siamo degli idioti babe
E' un miracolo persino che riusciamo a nutrirci da soli.


Come a dire, siamo degli idioti li a parlarci addosso distraendoci dalla “missione” del vivere, del vivere vero. Del vivere senza uno schemino costruito per mantenere le cose brutte cosi proprio come sono ora.

venerdì 29 aprile 2011

Accanto

Parlavi e ci guardavamo mentre ci sembrava sentire tutto il dolore del mondo. Tutto lì sulla nostra pelle. Sulle nostre emozioni.
E un peso rarefatto ci portò via come il vapore nel sole, come il fuoco nel mare. E accanto a te vengono fuori queste parole, come il rumore di un antico rito, con gesti ripetuti, ripetuti e svuotati di ogni colore.
Può essere solo cosi, per liberarci dalle nostre piccole lacrime, come cani che abbaiano in una silenziosa notte in tempesta. Può essere solo sulle vostre spalle che possiamo costruire il futuro, solo con le voste parole, solo con le nostre emozioni.
Il sole nasce e muore ogni giorno e gli uomini partono per poi ritornare. I ricordi riaffiorno senza piani, ma è solo lì vicino a te che possiamo sentirci a casa. Le città cambiano e il silenzio si fa rumoroso e tu pensi dove girarti per guardarla ancora lì di fianco a te, per vederla sul tuo stesso piano, per cercarla nella tua stessa confusione.
Non so bene cosa sei e cosa accettare, non so bene da che parte stare e tutto sembra la solita cantilena stonata. Quando parlavi forse non ti ascoltavo, non so per chi scrivo e cosa cavarne. Non so bene cosa faccio qui.

domenica 20 febbraio 2011

Non solo per te

Tutto è bagnato, fino alla più piccola parte, fino alla goccia sospesa a quel ramo.
Tutto è bagnato e le nuvole affollano il cielo, quel vapore sottile sovrasta le case, le case bagnate, quei tetti lì in fila, in fila ordinata.
Tutto è bagnato, anche le piccole luci dei morti lo sono. Anche i fiori che aspettano, anche il colore del cielo.
Tutto è bagnato come questo rosso reticolo sospeso, questo rosso reticolo che interrompe il mio sguardo.
Tutto è bagnato, anche questa musica che scorre, questo foglio di carta, quel cane furioso.
Tutto è lontano e tranquillo, come la terra sotto a qui lumi.
Tutto è bagnato, ogni goccia che cade. Non si sente più nulla, il tempo è sospeso e l'attesa ritorna. Tutto è bagnato come le onde e quel mare, come i fiumi che incontrano i monti, come oceani che toccano terra.
Tutto è bagnato per le persone gentili, per il povero in canna.
Tutto è bagnato per gli amanti solitari e i dolori di cuore.
Tutto è bagnato per nascondersi al mondo, per crearsi percorsi, percorsi mentali.
Tutto è bagnato per viaggiare da soli, per alzarsi ed andare.
Tutto è bagnato per coprire lo sporco, per ripulire le acque, anch'esse bagnate, bagnate per sempre.
Tutto è bagnato ma non lo sarà certo per tutti.
Tutto è bagnato anche per te che apprezzi la vita, che ne apprezzi l'odore.
Tutto è bagnato.
Tutto è bagnato.
Tutto oggi è solo bagnato.

giovedì 17 febbraio 2011

Domande

Spero che anche tu sei soddisfatto ora, non ci vuole poi troppo a restare lontani no? Il veleno che sputi non mi serve e non mi fa paura. Posso vedere finalmente attraverso i tuoi occhi. Non ci sono poi restato male a vederti li al torchio sai? Le parole che non hai detto sono chiare e spero ti sconvolga vedere che chi trattavi come servo si è stancato e si rivolta proprio conto di te. Tutti si ribelleranno come animali del circo, come animali che finalmente senza una maschera possono essere liberi di esercitare il loro volere più intimo. E non potrai farci molto, anche le poche verità che potrai dire, saranno viste come le tue solite bugie, i tuoi soliti giochi di finto prestigio. Non sono queste le sentenze che ti aspettavi, vero? Quando pensi poteva ancora durare il tuo gioco? Ci tenevi distanti e portati gli altri via con le tue patetiche illusioni. Che effetto ti fa ora? Veramente eri convinto di farla franca ancora a lungo? Non penso, sei troppo furbo per questo, ma troppo stupido per imparare a respirare, per imparare le differenza tra vedere e guardare. Il mestiere che ci hai insegnato ti si rivolterà contro. Ma questo è già stato detto. Voglio ora sapere solo una cosa, riesci ancora a giocare a scacchi? Riuscirai ancora ancora a salvare il re e la regina? Pensi che avrai ancora abbastanza pedoni? Il mondo finalmente ti si fa ostile, proprio come nelle tue peggiori paure, come in quei sogni che fai fatica a non vedere, come in un incubo universale. Ma poi nella calma del mattino pensavi che era sempre stato cosi. Pensavi di non essere il primo infame ad attraversare questa povera terra. Ora non puoi più ignorare il dolore del mondo. Si dice che la tua fine è vicina. Ma io so che ti batterei, ti batterai con la finta forza e l'immorale potere che hai. Ma chi resta quando finalmente non sarai più qui, ballerà, si ballerà sulla tua tomba e quel giorno i colori si accenderanno come dopo un intensa pioggia estiva. E il mondo sarà per un giorno un tropico in festa. Un tropico ridente e soleggiato per un futuro senza di te. Per un nuovo futuro senza finalmente nessuno che si preoccupare per te.

mercoledì 9 febbraio 2011

Ritornare e poi andare

Quella volta mi chiedevi dove ero stato, bé in nessun posto speciale, sono stato solo dove puoi sentire ogni stagione. Per un po' tutto andò così come in un quiz a premi, ma poi iniziasti a guardarmi come un gatto da dietro una finestra, non riuscivo più a capire i tuoi occhi, mi sembravano lontani, apparivano di vetro infrangile, e qualcosa in te cresceva, ti portava via come il mondo la cui fine professavi vicina. E allora il severo e scuro sole d'inverno ci rubò la notte e le tue parole si fecero serie e confuse, e io non riuscivo più a capire da che parte stare. Erano solo passati due anni è ancora mi chiedevo cosa fosse cambiato, ancora trattenevo le urla per dirti che infondo è sempre stato tutto così. Ma poi diventò chiaro, il giorno, l'inverno, le tue parole, i miei pensieri, il tuo sguardo. E finalmente andai via senza più capire perché ero tornato, ancora una volta senza capire chi ero e cosa importasse.

giovedì 27 gennaio 2011

C'erano nubi nere fuori la mia finestra prima di allora

Mi invitò un giorno a casa sua dopo che ci eravamo incontrati per caso. Dopo aver camminato per qualche minuto arrivammo da lei che fuori pioveva. Mi offrì del the. Io accettai volentieri, il freddo di fuori non faceva che far desiderare qualcosa di caldo. Dopo poco, nel silenzio irreale di un pomeriggio di inverno, si poteva udire il fischio del bollitore e il rumore dell'acqua versata. Potevo quasi sentire il vapore emanato dall'acqua bollente da come i miei sensi erano alterati. Arrivò con un vassoio con due tazze, una teiera, piccoli cucchiai e piattini con fettine di limone, panna, latte e zenzero. Non sembrava preparata a ricevere visite ma sembrava curare a modo il momento del the. Questo iniziò a farmela percepire come qualcosa di austero, come una lontana donna dell'ottocento con la cura per tutto, una donna d'altri tempi ma con il fascino della modernità. La casa in cui viveva era semplice e pulita. Pochi angoli attrezzati e per il resto tanti angoli semi scuri e pochi oggetti curiosi. C'era pietra e ferro battuto, quello del colore del rame, che dava all'ambiente un aspetto antico ma raffinato, semplice ma fuori da ogni schema. Parlava poco, sorrideva e diceva poi la cosa giusta. Pensava e poi parlava e cantava quello che c'era alla radio con grazia e calore, quel calore del the e delle nostre parole, nel lento morire di quel lontano pomeriggio d'inverno.

venerdì 7 gennaio 2011

Porto di mare

Nelle mie foto più belle ho trovato un porto di mare.
Le stagioni passavano leggere e sia in inverno che in estate eravamo soli a guardare il tranquillo porto di mare.
Ci sembrava benedire i viaggiatori solitari che conoscono il silenzio e la tranquillità.
Ogni giorno ci sembrava diverso, ogni giorno sembrava riflettere la nostra luce. E come le onde ritornano a riva cosi noi eravamo li a guardarlo ogni volta che il sole tramontava, ogni volta che la calda luce del sole deponeva le armi come disertori di guerra.
Ma poi qualcosa cambiò e il nostro porto divenne triste e solitario. Forse fù quando provai a scrivere per te una canzone triste. Meglio non fare affari con la morte, meglio non credere che è per sempre quando si guarda un tranquillo porto di mare.