giovedì 20 maggio 2010

Guerra

E' la solita storia. Ci sono persone che vengono mandate a morire. Vengono mandate a morire per la guerra. E' una storia vecchia come il mondo.
Lo scopo della guerra è spesso la guerra stessa. Non esistono motivi reali che vanno al di là degli interessi economici e di controllo di territori e risorse. E' solo urgenza di guerra. La guerra come fonte di guadagno. E ci sono gli uomini come attori di quello che sembra un film ma film non è. Dell'unico film che uccide la gente, uccide uomini tutti uguali ma con destini cosi diversi.

Sei afgano e i tuoi figli muoiono sotto le mie bombe. Sono americano e i miei figli mangiano biscottini con burro d'arachidi. I figli dell'occidente, nelle nostre case bunker che ci stiamo costruendo. Nelle nostra vite di terrore e di paura. Nei nostri palazzi con l'immondizia ben nascosta in cantina. Questo occidente con tutta lo sporco nascosto giù in africa o chissà dove. Paesi come cantine del nostro finto benessere.
Come può esistere questa abissale differenza? Come può esistere e pensarla normale?
Ieri in Italia, dove invece io sono nato e vivo, si sono tenuti i funerali di Massimiliano Ramadù e Luigi Pascazio i due militari uccisi in un attentato in Afghanistan. Naturalmente le alte cariche dello stato non hanno perso l'occasione per mostrarsi commossi. Il teatrino sarà stato come al solito perfetto. Il teatro messo in scena quando il film lontano colpisce vicino. Vicino a noi, e ti sembra di sentire le bombe e la polvere. Ti sembra di sentire lo schifo della guerra. Ma loro, i signori della guerra e del denaro non sentono più niente. Sono macchine che innescano guerre. Sono come alieni con un unico scopo: distruggere questo povero e triste mondo.

giovedì 13 maggio 2010

Parole

Parole. Parole per ogni occasione. Parole, parole e ancora parole. Parole vuote come bicchieri capovolti appoggiati su un tavolo. Parole accorciate per adattarsi all’ultimo mezzo da attraversare. Parole dure, parole dolci, parole di rimpianto. Parole dette e non ascoltate. Parole svanite. Ci sono le parole che si usano a cena e ci sono quelle che si usano appena arrivi a lavoro. Quasi sempre le stesse, spesso prive di ogni significato reale. Parole automatiche. Parole di merda. Frasi gridate. Rabbia e odio con parole reali. Pietre lanciate. Parole di redenzione e preghiere. Preghiere recitate. Abusi. Parole a memoria. Parole che girano introno e suonano sorde. Troppe parole. Se non ti conosco non ti saluto. Calpestare lo stesso suolo non fa di noi grandi amici. Non siamo amici noi. Mangiamo insieme e ridiamo. Beviamo insieme e ridiamo. Noi sì che siamo amici. Allora sì che dico ti amo.

lunedì 3 maggio 2010

Un viso

Era bello nei momenti di smarrimento rassicurarsi guardando il proprio viso.

Bello o brutto che fosse ma comunque lui.

Ho iniziato a dar conto a me stesso più che dar conto a chi non è degno di essere contato.

Saremo sempre nudi e crudi con gli stessi sogni e le stesse emozioni.

E mentre una musica distante ti culla via. Una canzone malinconica ti spazza via, ti porta via, via lontano ma non più lontano di qui.

Le parole distanti cullano il letto, cullano i sogni con una nenia assordante.

Una strana dolcezza riempie lo stomaco e a noi non resta che pensare, ma non ci resta niente cui pensare.

C’è solo ora. C’è solo il presente a riempire la fine e l’inizio.

Ci sono solo i ricordi a sfatare i miti e indicare la via.